Ramia Giancarlo, tu sei un monaco Ramia di Anima Universale ormai da tempo “immemorabile”. Come hai conosciuto Swami Roberto?
Il mio incontro con Swami, avvenuto 27 anni fa, è legato ad una pagina indelebile della mia vita, quella in cui mi trovai catapultato in una dimensione di grande sofferenza a causa della gravissima malattia che aveva colpito mia figlia secondogenita Teresa.
Cosa successe esattamente?
All’età di 4 anni e mezzo Teresa si ammalò di leucemia acuta.
Trasferita urgentemente all’Ospedale Civile di Padova nel reparto di leucemia infantile, dovette affrontare un lungo e doloroso ciclo di terapia, e subì anche alcuni delicatissimi interventi di prelievo di midollo spinale dalla colonna vertebrale.
Nella stanza di isolamento dove venivano trasferiti i casi disperati, Teresa era costantemente assistita dal personale medico e sostenuta dalle più efficienti apparecchiature che il progresso scientifico-tecnologico dell’epoca poneva a disposizione.
Era tutta monitorata… ma ad un certo punto ogni sforzo sembrò inutile. Si aggiunsero ulteriori complicazioni che resero vane le cure intraprese, e ridussero la mia bambina in fin di vita.
Lo stato in cui versava era straziante!
La nostra figlioletta era pallidissima, ed il suo colorito era bianco come la morte. Respirava ansimando e il battito cardiaco era talmente elevato, da far temere che il suo cuoricino dovesse scoppiare da un momento all’altro.
I medici cosa dicevano?
I medici non davano più speranze. Mi ricordo che il professore ci disse: “un corpo umano in queste situazioni può tirare avanti 3 giorni; Teresa è al quinto giorno e noi non sappiamo neanche spiegarci il perché…”
Poi, da credente, aggiunse: “al di sopra di noi c’è Dio. Attualmente siamo impotenti, non abbiamo i mezzi per strapparla alla morte e purtroppo dobbiamo dirvi queste cose”.
Per esperienza sapeva che la situazione era segnata, e ci aveva affiancato alcuni psicologi per aiutare me e mia moglie ad affrontare la prova più dolorosa per un papà e una mamma. Peraltro, in occasione della prima seduta, loro capirono che la nostra fede ci dava la forza anche di affrontare la tragedia annunciata della perdita della nostra bambina, e così reputarono che non avevamo bisogno di essere seguiti ulteriormente.
In quel momento tu conoscevi già Roberto?
No, non ne avevo mai sentito parlare.
Invece una mia vicina di casa, leggendo il settimanale “Gente” venne a conoscenza dei prodigi di un giovanissimo ragazzo di Torino.
Sapendo che la nostra piccola stava morendo, non perse tempo e prese in mano il telefono: chiamò spiegando la situazione disperata di mia figlia alla persona che rispose.
Proprio in quel momento il giovane Roberto stava rientrando in casa dopo la celebrazione della preghiera in chiesa e, sentendo parlare a voce alta di quel caso disperato, disse:
“Si la vedo… quella bambina non morirà”.
Tu cosa pensasti quando te lo dissero?
Non me lo dissero affatto. Quella frase risoluta pronunciata da Roberto era stata immediatamente riferita alla mia vicina, e lei si trovò in difficoltà. Temeva che se me l’avesse detta, e poi le cose fossero andate diversamente, avrebbe inferto un’ulteriore atroce sofferenza a me e a mia moglie. Così, si tenne quella frase per sé, ed io non ne seppi nulla. Me l’avrebbe riferita solo molto, molto tempo più tardi.
Cosa fece la tua vicina dopo quella telefonata?
Quel giorno si trovava a Torino la signora Gianna Battistella di Loria (un paesino in provincia di Treviso), che aveva accompagnato un pullman di pellegrini alla preghiera.
Roberto benedì delle pezzuole, e le dette a Gianna perché le facesse giungere a noi genitori, affinché le mettessimo sul corpo di mia figlia.
La mia vicina avvisò mio fratello, che andò ad attendere l’arrivo del pullman a Treviso e, di qui, una volta che la signora Gianna gli consegnò le tele benedette, lui corse in ospedale.
Quando mi venne incontro, io avevo ormai pianto tutte le mie lacrime.
Vestito con il camice e la mascherina, mi trovavo all’interno della stanza sterile per vegliare mia figlia, e mi aspettavo che morisse da un momento all’altro.
Lei non mi rispondeva più… era tutta intubata… mani… piedi… dappertutto.
Il battito cardiaco saliva… saliva… saliva… ed il professore mi aveva detto: “o scoppia il cuore, oppure scoppia il pancino”. Mi aveva fatto la proposta persino di poter forare il ventre di mia figlia, ma l’avrebbe fatta morire dai dolori…
“A questo punto, è meglio che le cose vadano in maniera naturale”… mi aveva detto.
Mio fratello arrivò in ospedale, e mi fece chiamare: “Guarda, ho questi telini che sono stati benedetti da un santo, non so neanch’io chi sia, però mi hanno detto che è un santo. Vedi tu sei vuoi metterli sul corpo di Teresa”.
Io da subito sentii la volontà di farlo, senza alcuna titubanza, ma vista la situazione, ovviamente pensai che era doveroso chiedere il permesso ai medici. Dalla vetrata della stanza sterile vedevo continuamente i loro volti… venivano appositamente dall’università per vedere come si evolveva la situazione, per cui non potevo fare solo di testa mia. Pensavo: “E’ osservata per filo e per segno, e basta un niente per cambiare tutto… non posso metterle addosso qualcosa senza chiedere”.
Allora mi rivolsi al medico che sapevo essere credente, perché il giorno prima mi aveva detto: “Anche se non c’è più spazio per un intervento umano… comunque al di sopra di tutto c’è Dio”.
Quando gli chiesi se potevo mettere sul corpicino di Teresa i telini benedetti, mi rispose: “Veda lei; faccia pure come vuole”.
Più delle parole, la risposta era nel tono della sua voce, con il quale era come se mi dicesse: “Cerca di capire che intanto, non c’è nulla da fare”.
Il suo tono mi fece capire quello.
E dopo cosa successe?
Quando mia moglie, su mia indicazione, mise il primo panno benedetto da Roberto a contatto con il corpo di mia figlia… accadde l’inverosimile. Dal monitor non mi accorsi subito di quanto stava succedendo, ma i medici presenti in reparto vennero a controllare… e ciò che videro e dissero mi fece immediatamente capire che si stava verificando qualcosa di molto strano.
Le pulsazioni cominciarono lentamente ma continuamente a regredire. Tutti i flussi vitali di Teresa si risvegliarono… e tutti gli esami prontamente eseguiti rivelarono la straordinarietà della nuova situazione che si era creata.
Mi ricordo ancora adesso che uno di loro esclamò. “guardi, i battiti stanno cominciando a scendere!”…
Erano letteralmente stupefatti, anche se un po’ tutti loro pensavano che presto le pulsazioni del cuore di Teresa avrebbero ricominciato a salire!
Questo non successe… anzi! Più i minuti passavano, più le sue condizioni generali si normalizzavano.
Intorno a me vedevo i volti dei medici riempirsi sempre più di stupore.
Io sentii la gioia impadronirsi del mio animo. Praticamente non ebbi il tempo di realizzare la reale entità di quanto stava accadendo, che il miracolo divenne a tutti gli effetti palpabile… inequivocabile:
Mia figlia riaprì gli occhi e disse: “Papà, ho fame. Dammi del pane”.
Ed il primario cosa disse?
Fu chiamato d’urgenza. Essendo quasi mezzanotte, lui si trovava a casa… ma subito si precipitò in ospedale per vedere di persona. Rimase allibito nel constatare che tutti i parametri rilevati dalle strumentazioni applicate si erano normalizzati.
Io… non sapevo cosa dire, ma ricordo distintamente uno stato d’animo inspiegabile: dentro di me sentivo un qualcosa di immenso, che non potevo contenere, e che suscitò la reazione di tutti i medici. Il primario mi disse: “guardi, non si illuda, perché sappiamo come vanno queste cose”.
Me lo diceva per esperienza, e non certo per il gusto sadico di far star male me e mia moglie. Comunque… io già sapevo che non poteva avere ragione. Sentivo che quello che stava succedendo non poteva essere il “canto del cigno” che anticipava la morte di Teresa, perché tutto si era capovolto proprio nell’esatto momento in cui avevamo messo i telini benedetti sul petto della nostra bambina. Tutto era successo in quell’attimo… non prima e non dopo.
Questa consapevolezza era così forte in me, che mi rifiutai nel modo più assoluto di credere alle parole con cui i medici mi invitavano alla prudenza. Io non avevo alcun dubbio: sapevo che era avvenuto “qualcosa” di straordinario.
Dopo che tua figlia ti chiese il pane, tu cosa facesti?
Avevo con me ogni ben di Dio… ma non del pane. Telefonai in cucina per chiedere se ne avevano un pezzo, e l’infermiera addetta mi disse: “ma si figuri signor Rigo, le porto qualcosa di più sostanzioso”; lei pensava che fossi io ad avere fame.
“No… è per Teresa…” gli dissi.
“per Teresa”?… non credeva alle sue orecchie!
Fatto sta che quando il pezzo di pane arrivò, Teresa rapidamente se lo mangiò!
Neanche tento di esprimere ciò che provai in quel momento: sarebbe impossibile tradurlo in parole. Posso solo dire che nell’emozione concitata ed incontenibile che mi assalì, senza sapere perché trovai il tempo di guardare l’orologio che avevo al polso, e vidi che le due lancette si sovrapponevano perfettamente, a formarne una. Era la mezzanotte.
Il senso di questo mio sguardo al quadrante dell’orologio l’avrei capito poi, quando Swami mi aiutò a capirlo.
E cosa ti disse?
Quel momento non era ancora giunto. In quell’ospedale io ancora non conoscevo Roberto.
Sì, appunto, non mi hai ancora detto come e quando lo incontrasti.
Successe di lì a poco. La guarigione completa di mia figlia, avvenuta tra lo sbalordimento dei medici che avevano iniziato a chiamarla “il miracolo vivente”, aveva suscitato in me un desiderio incontenibile di conoscere chi l’aveva aiutata.
Così, non appena Teresa fece ritorno a casa, con tutta la famiglia organizzammo un viaggio con meta la chiesetta di Torino-Sassi, dove all’epoca viveva Roberto.
Mia figlia era clinicamente guarita, e ovviamente i medici le avevano prescritto un rigoroso ciclo terapeutico post malattia, che noi genitori le facevamo seguire scrupolosamente.
Prima di partire per Torino, ci eravamo organizzati pensando che la nostra bambina potesse patire un po’ la lunghezza del viaggio, ma certo non immaginavamo che potesse succedere quello che poi successe!
Teresa cominciò a rigettare praticamente da subito; i chilometri passavano, ma lei continuava a stare male. Arrivammo alle porte di Milano, e ci rendemmo conto di avere già esaurito tutta la scorta di abitini di ricambio e asciugamani di riserva che avevamo prudentemente portato con noi.
Fummo costretti a fare una cosa… che ancora adesso mi vengono i brividi a ricordarla: percorremmo il tratto autostradale Milano-Torino viaggiando a bassissima andatura sulla corsia di emergenza, e mia moglie teneva la porta dell’auto semi-aperta, pronta a sporgere mia figlia all’esterno della vettura… nei momenti in cui arrivavano i conati di vomito.
Come non bastasse, ad un certo punto si scatenò il finimondo anche dal punto di vista meteorologico : arrivò un temporale terribile, nero come non ne ho mai visti in vita mia e Stefano, l’altro mio figlioletto che era seduto sul sedile posteriore, era letteralmente terrorizzato.
Mia moglie mi chiese: “Cosa facciamo?”…
Io subito le dissi: “Andiamo avanti!”. Visto il miracolo che avevamo ricevuto, non ebbi alcuna esitazione: ero consapevole che stavamo portando nostra figlia da quel giovane che l’aveva salvata, e non c’era ostacolo che potesse fermarci.
Giungemmo finalmente a Torino-Sassi… quando ormai la nostra bambina era spossata, e noi insieme a lei.
Iniziammo ad attendere che Roberto scendesse per ricevere le persone che desideravano parlare con lui, e vedevamo che continuava ad arrivare gente… tanta gente: il piazzale antistante la chiesetta si riempì.
Una persona uscì dalla Chiesa e disse: “fate passare i signori di Vicenza”…
Io mi feci avanti e mi rivolsi verso la folla, dicendo ad alta voce: “chi è di Vicenza alzi la mano”…
Nessuno lo fece, così capii che toccava subito a noi.
Entrammo… e vidi per la prima volta Roberto.
La prima cosa che mi colpì, fu l’oceano di Amore che incontrai nel suo sguardo.
Colsi in lui qualcosa di immenso, e vissi una sensazione talmente sublime… che mi trovai inginocchiato davanti a quel giovane neanche ventenne.
Lui si avvicinò a Teresa, la toccò, la benedì e disse “Rispetto a come ti vedevo a Padova… adesso stai molto meglio”…
Io, un po’ frastornato, mi girai verso mia moglie… “Ma come? E’ venuto a Padova?”… ancora non ero preparato a quel tipo di fenomenologia, e quel suo parlare come uno che conosce già tutto, senza che noi gli avessimo detto nulla, mi lasciò attonito.
Restò con noi alcuni minuti, durante i quali oltretutto accadde un altro fatto strabiliante: sulla fronte di Roberto io e mia moglie vedemmo distintamente una croce… che invece non videro le altre persone che dopo di noi parlarono con lui.
Mi ricordo che nell’emozione incontenibile di quel mio primo incontro con Roberto, non riuscii a dirgli praticamente nulla; mi sentii unicamente di ringraziarlo… con tutto me stesso… per aver restituito mia figlia alla vita.
Nel congedarci gli accennai alle condizioni disastrose in cui avevamo fatto il viaggio di andata, e lui ci disse: “Vedrete che nel ritorno non sarà così”.
Ramia Giancarlo, mi avevi parlato anche di quel fatto singolare che era accaduto all’ospedale quando, nella concitazione dei momenti in cui Teresa si era risvegliata e ti aveva chiesto del pane, tu… senza sapere perché… avevi guardato le lancette del tuo orologio, e avevi visto che “spaccavano” la mezzanotte. Mi avevi detto che Swami ti aveva aiutato a capirlo.
Infatti… lui mi spiegò quella “fotografia”. Mi disse che, così come la mezzanotte segna la fine di un giorno e l’inizio di un giorno nuovo… così sul quadrante dell’orologio mi era stato concesso di osservare il momento di grazia che segnava per mia figlia la fine del tempo della malattia, ed il ritorno alla vita.
Dopo quel primo incontro con Roberto, partiste subito per tornare a casa?
Prima di iniziare il viaggio di ritorno, entrammo in un piccolo ristorante nei pressi della Basilica di Superga, per mangiare qualcosa.
Anche Teresa voleva mangiare… e già ci sembrava impossibile che fosse lei a chiederlo, visto che non aveva mai appetito.
Ordinammo anche per lei, pensando che avrebbe magari assaggiato qualcosa, e poi il resto lo avremmo terminato noi… ed invece… non avanzò niente!
Io e mia moglie eravamo a dir poco contenti, ma anche preoccupati, perché non avevamo più nulla per cambiarla, e “l’odissea” del viaggio d’andata era ben presente nei nostri pensieri…
Fatto stà che salimmo in macchina, e per tutto il tragitto Teresa continuò a cantare… con quella sua vocina felice che ci dette una gioia immensa.
“Basta! Altrimenti finisce che ci spacchi i timpani delle orecchie…” gli dissi ad un certo punto, baciandola con il mio cuore finalmente sorridente.
Giunti sulla porta di casa io e mia moglie, in contemporanea, pronunciammo la stessa frase: “Roberto aveva detto che nel ritorno sarebbe stato così”.
Ed in effetti se l’andata verso Torino fu un disastro… il ritorno fu… un sogno.
ramia Giancarlo Rigo
Trissino (VI), 4 maggio 2010
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