Questa è la storia di una bambina, di una bellissima e amatissima bambina che ha appena compiuto un anno di vita. Ma è anche la storia di un miracolo: di un vero miracolo che Dio ha compiuto al giorno d’oggi, esattamente come quando Gesù camminava per le strade della Palestina duemila anni fa.
Ho chiesto aiuto a Swami Roberto ed è avvenuto il miracolo.
Tutto comincia quando scopro di essere incinta.
Sembra un problema: non sono più una ragazzina, ho tre figlie grandi (di 18, 15 e 12 anni), dopo anni di fatiche posso finalmente godermi un po’ di libertà insieme a mio marito… Naturale, quindi, che sia un po’ preoccupata; ma fin dall’inizio non ho dubbi, nessun dubbio: nel mio cuore quella creaturina la sento subito mia.
Tante cose che si collegano anche se noi, sul momento, non ce ne rendiamo conto. Un pensiero: una domenica, andando alla preghiera, spero d’incontrare Swami per chiedergli aiuto. Un incontro: lo vedo, gli dico semplicemente «aiutami a capire» e lui mi risponde: «Tu sai cosa devi fare, ascoltati».
È andato, insomma, subito al centro del problema: è vero, il bimbo io lo voglio, ho solo un po’ di paura per la situazione economica della famiglia e per il mio lavoro. Lui mi parla chiaro: «Non preoccuparti per il denaro, e neppure il lavoro sarà un problema per te, Dio ti aiuterà… ma ricordati che – comunque vada – l’importante, ai Suoi occhi, è che tu l’hai voluto».
Quando esco sono davvero contenta, anche se questa frase continuava a tornarmi alla mente: chissà perché me l’ha detta… l’ho capito solo in seguito.
Giorni di attesa. Poi, a maggio, faccio l’esame dei villi coriali, una tappa importante, soprattutto in casi di gravidanza a quarantadue anni. Dopo quattro giorni mi danno il primo responso: non ci sono segni di patologie tipo Down, per l’esito complessivo avrei dovuto aspettare altri venti giorni. Un’altra notizia completa la mia felicità: è una bambina!
Una mattina di giugno, la doccia fredda: una chiamata dall’Ospedale Sant’Anna. Non entrano nei dettagli, spiegano che per telefono non possono dirmi nulla, dicono soltanto che la dottoressa Restagno (una genetista) e il dottor Pagliano mi aspettano a mezzogiorno per parlarmi di una patologia emersa dagli esami.
Si può facilmente immaginare in quale stato d’ansia mi fa precipitare questa comunicazione. Devo parlarne con qualcuno. E la persona a cui so di potermi rivolgere, da cui so di poter avere un aiuto, è la signora presso cui lavoro, che – oltre ad essere straordinariamente disponibile – è una biologa. Lei mi ascolta e subito cerca di tranquillizzarmi: se è un problema genetico – mi spiega – potrebbe trattarsi di anemia mediterranea, dato che mio marito è sardo e io sono di origine veneta. Non solo, con mia gran contentezza si offre anche di accompagnarmi.
La preoccupazione mi cresce dentro. Ed è confermata all’arrivo dei due medici che, con delicatezza ma senza mezzi termini, mi parlano delle patologie della bimba che sta dentro di me. Il testo della «consulenza genetica» è drammatico: «È risultata la presenza di una trisomia parziale del cromosoma 9… è stata correlata con ritardo mentale, dismorfismi facciali di vario grado, cardiopatia congenita, epilessia, dilatazione dei ventricoli cerebrali, ipogenesia/agenesia del corpo calloso, malformazione di Dandy-Walker… Le malformazioni sopra elencate possono essere presenti in numero variabile e con gravità differente».
Precipito in un abisso d’angoscia: non ce la faccio, non ci posso e non ci voglio credere.
Il dottor Pagliano mi consiglia l’esame cromosomico per me e per mio marito, nell’eventualità che fossimo portatori di malformazioni del cromosoma 9, ma intanto la prima cosa da fare senza perdere tempo – mi ribadisce – è l’aborto: sono già all’inizio del quarto mese, infatti, e per legge non si potrebbe fare, l’eccezione sarebbe giustificata proprio dalla gravità del caso.
Quando esco – sconvolta, come si può facilmente capire, ma tutt’altro che rassegnata – prenoto un’amniocentesi: me la fissano dopo due settimane.
Tanti, anche persone amiche, mi dicono che è meglio abortire… che sono già fortunata ad avere tre figlie sane… che sarebbe devastante avere una bimba malata… che tutto ciò mi avrebbe distrutta psicologicamente…
Io però non riuscivo ad accettare questi discorsi. La sentivo muovere dentro di me, l’amavo già tanto: come avrei potuto buttarla via così, senza combattere per lei?
Mi sono recata al consulto: Swami Roberto – per bocca di ramia Rosvaldo – a differenza dei medici, mi esortò con forza a proseguire la gravidanza, assicurandomi che mi avrebbe dato un immenso aiuto.
Giorni d’angoscia. Il 21 giugno faccio l’amnio, ancora con il dottor Pagliano. Non dice nulla; sono il suo silenzio e i suoi occhi che mi trasmettono la preoccupazione. E io sto sempre peggio.
Anche perché – alla mia domanda se in tanti anni abbia mai visto un caso come il mio concludersi bene – lui ha francamente risposto di no.
Finalmente – il 10 luglio – arriva l’esito dell’amniocentesi.
Sono tesissima, ma non ho mai abbandonato la speranza. Il dottor Pagliano e la dottoressa Restagno mi aspettano al Sant’Anna e mi dicono che non c’è nulla che non vada, la bambina sta benissimo!
Non chiedo altro, non m’interessano i dettagli: so già che è arrivato il miracolo.
Grazie Swami! Grazie per Benedetta.
Silvia Castello
Torino, 29 gennaio 2012
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